DIARIO DI UNA TEENAGER FUORI CASA

Fra le innumerevoli futilità che mandano in tv non capisco ancora perché non ci sia un programma che disciplini la sopravvivenza dopo il trasferimento.

Sono Alessandra Orsili, ho diciotto anni da poco compiuti e voglio raccontarvi la mia esperienza da neo professionista.

Amo la pallacanestro e questo è ovviamente testimoniato da tutte le cose a cui in vita ho rinunciato (consapevolmente) per dedicarmi a questo sport. L’incipit è chiaro… Non c’è nessuno che sappia spiegare bene come funzionino le cose “la prima volta”. Devi semplicemente buttarti e lasciare che accadano.

Finalmente dopo tanti anni passati a sentire mia madre incoraggiarmi a rifarmi il letto… Continuo a non farlo! E scusa mamma se ti deludo, ma le mie giornate sono così piene che riuscire a fare una pausa caffè sarebbe già una vittoria.

Che poi una cosa di cui amo vantarmi è che io odio il caffè, vivo di energia vitale… Sì, ma dalle 11:00 del mattino in poi, perché prima di quell’ora non connetto, indisposizione adolescenziale mi sembra che la chiamino, ma questa è un’altra storia. Parlando del caffè… L’unica volta in cui mi permetto di berlo è il sabato dopo l’allenamento mattutino (che grazie a Dio inizia alle 11). Insieme alla squadra ci viziamo mangiando e bevendo. Nascondo l’amarezza di quella bevanda un po’ con l’orgoglio di chi vuole mascherare un’infanzia vissuta di orzo, un po’ attraverso il più potente dei catalizzatori: il latte.

Quando si va incontro a cambiamenti, le certezze alle quali, ingenui, ci ancoravamo, crollano quasi completamente. Ed è in quei momenti che ci si deve far forza, rimboccarsi le maniche… E tagliare più zucchine possibili, perché la zucchina è una risorsa che non si esaurisce mai: tutto l’anno, tutti gli anni e solo ora le apprezzo veramente! “Fra moglie e marito non mettere il dito”, ma evita anche di mozzartelo mentre peli le patate perché le sbucciature alle ginocchia fanno male, sì! Ma i tagli da cucina non sono da meno. Prima settimana di settembre con le dita ferite, manco avessi stretto la mano a Johnny Depp nel cast di “Edward mani di forbici”, ma da mangiare: tutto buono.

 

 

La seconda sicurezza che devi avere quando vai a vivere da sola è il cibo in scatola. È impressionante quanto il tonno diventi buono quando sono le nove di sera e hai dimenticato di scongelare la carne.

Essere indipendente è la parte che preferisco, ma con la scuola e lo sport che mi impegnano le mie libertà decisionali sono circoscritte alle faccende di casa e non pensavo di doverlo ammettere, ma poter programmare le lavatrici è commoventemente appagante! Scolorire e rimpicciolire sono cose che ti segnano nel profondo, ora ho imparato la lezione, ma comunque continuerò a non stirare.

Cambiare la quotidianità mi ha resa mentalmente più disponibile e solidale nei confronti delle persone con le quali mi relaziono. A volte è proprio necessario mettersi in discussione, rinnovarsi, “cambiare aria” come si suol dire… L’importante è che quest’aria non puzzi di bruciato, in quel caso è sufficiente spegnere i fornelli e mortificarsi per aver fatto fuori l’ennesima frittata.

Appena consapevole di dover cambiare squadra, città, casa e scuola, la mia prima preoccupazione era destinata alla considerazione che le nuove compagne di squadra avrebbero avuto di me, che io stessa avrei avuto di me rispetto ai cambiamenti e alle difficoltà che naturalmente percepivo avvicinarsi. Mentirei se dicessi che non ho avuto paura le prime due settimane della mia nuova vita. Non era un problema la scuola o la squadra, in quel momento il problema ero io. D’un tratto mi sono sentita persa nell’inaudita grandezza della soffocante novità, incapace di reagire alle situazioni che mi confondevano e svuotavano… Quasi mi sentissi sola, incompresa e inadatta a soddisfarmi nonostante trascorressi le giornate in più che buona compagnia, evidentemente tentando di distrarmi dall’uragano di frustrazioni con cui condividevo la mia grande stanza vuota.

Con pazienza ho imparato a fidarmi ed affidarmi all’unica persona alla quale non mi ero mai interessata prima d’ora: me stessa. La sola che oggettivamente mi era accanto da tutto questo tempo e in silenzio aspettava di essere considerata. Ho capito che era inevitabile essersi sentiti inesauditi fini a quel momento.

Trasferirmi, prendermi cura di me stessa (fallendo anche miseramente delle volte) essere in conflitto con la palla, che mai era risultata tanto ingestibile e pesante, mi hanno aiutata a capire che per assistere gli altri prima dovevo padroneggiare la mia persona. Mi sono impegnata a dare importanza alla semplicità che la mia mente viziata ingenuamente ignorava. Grazie nonna per le lusinghe ma è tempo di crescere. Avevo appena iniziato a riscoprirmi per quella che sono, non mi sarei imposta di raggiungere prematuramente una comoda spensieratezza.

Così la situazione era questa: ci sono io che mi aggiro per la casa con lo sbadato disorientamento di sempre, quando ad un tratto arriva lui e tutto il disordine che avevo dentro prende rapidamente un’armonica forma: finalmente riscoprivo la tranquillità. Fin dal primo momento in cui l’ho visto mi son sentita realizzata e nell’avvicinarmi paleso una bizzarra eccitazione. In nessuna occasione ha deluso le mie aspettative e per questo mi chiedo come diavolo abbia fatto mia madre a sopravvivere una vita intera senza Microonde.

 

 

Nella mia nuova casa c’è sempre un piacevole silenzio. Rinuncio molto volentieri alla tv, ma anche perché il digitale terrestre fa schifo e di vedere 4 ristoranti ne ho fin sopra i capelli.

Vorrei puntualizzare approfondendo proprio sui miei capelli. Per generalizzare un pochino: il tempo che dedico alla cura personale, nonostante sia aumentato vertiginosamente nell’ultimo periodo, continua ad essere scarso e settimanalmente poco superiore se paragonato ad una puntata di Stranger Things. E sì, per chi non lo avesse capito, cercavo di persuadervi a guardarlo.

Non banalizzo dicendo che la mia vita ora è come una serie tv, vi premetto… Che è molto peggio!

Non ho una macchina. Facile: non ho la patente! Ma soprattutto non ho tempo di prenderla, la scusa più plausibile che possa eclissare l’oggettiva poca voglia che, in realtà, ho di studiare per prenderla. Sostanzialmente non avere le quattro ruote mi indispone dal muovermi liberamente e per le occasioni straordinarie spesso c’è stato bisogno della bici. Naturalmente le esigenze che intendo sono relative a incontenibile “voglie di gelato”.

Ma lo sapevate che Lucca vanta poco meno di un centinaio di gelaterie? Essere coerente e moralmente corretta mi obbligherebbe a provarle tutte. Un’altra cosa bella della città sono le Mura, passeggiare sulle quali è disgustosamente romantico, ma anche un originale metodo per smaltire tutto il gelato occasionale che mangio.

Mi lamento e mi diverto, sono solo all’inizio e non mi va di farmi aspettative che potrebbero rilevarsi psicologicamente svantaggiose e relative, insufficienti per raccontare quello che sarà il mio futuro. Tanto vale rompere un bicchiere in più e imparare la lezione, che illudersi di poter fare solo canestro… Perché poi ciò che effettivamente c’è di bello emerge solo in relazione ai vetri rotti.

Alessandra Orsili